L’ OHAGURO
L’Ohaguro (お歯黒), che tradotto letteralmente significa ‘denti neri’, è il nome dato nell’antico Giappone all’usanza di annerire i propri denti con una soluzione di limatura di ferro e aceto. Quest’usanza era particolarmente popolare tra i periodi Heian ed Edo, ovvero dal X secolo fino alla fine del XIX secolo quando, durante il Periodo Meiji, con l’apertura del Giappone alle usanze occidentali si giunse gradualmente alla sua quasi totale scomparsa. L’Ohaguro veniva praticato soprattutto da donne sposate e da alcuni uomini, aristocratici e samurai. Questa usanza era considerata benefica per la salute, poiché preveniva la carie agendo come sigillante dentale. Da notare che il termine ohaguro è composto dal prefisso onorifico O (お), dal termine ha (歯, ‘dente’) e dal termine kuro (黒, ‘nero’).
Il termine ohaguro nacque tra le donne della classe nobiliare durante il primo periodo Edo come parte del cosiddetto nyōbō kotoba, ovvero il ‘linguaggio delle donne’, andando a sostituire il termine più antico hagurome (歯黒め), ovvero ‘denti anneriti’. Va anche evidenziato il fatto che l’ohaguro veniva considerato, nel periodo in cui andava di moda, come simbolo di bellezza anche per il fatto che gli oggetti con un colore nero intenso, come quelli laccati di un nero lucido, erano considerati di grande bellezza e molte sfumature di nero venivano usate nella tintura dei kimono, con diversi significati.
UN PO’ DI STORIA
I primi riferimenti scritti in Giappone all’ohaguro compaiono nel Genji Monogatari di Shikibu Murasaki e nel racconto Mushi Mezuru Himegimi, incluso nello Tsutsumi Chūnagon Monogatari. In questa ultima storia, il comportamento eccentrico della protagonista è considerato meno riprovevole del suo aspetto naturale ritenuto ripugnante, tanto che una fanciulla descrive i suoi denti non tinti come “bruchi senza pelle”, mentre un capitano della guardia imperiale attratto da lei alla fine prova ripugnanza per la sua mancanza di trucco e, soprattutto, per i suoi denti che “brillavano orribilmente quando sorrideva”. Interessante come questa usanza sia apparsa per la prima volta tra uomini e donne dell’aristocrazia del periodo Heian e che venne quasi subito adottata dalle donne di tutte le classi sociali divenendo addirittura una sorta di rito di maturità tra le ragazze adolescenti. Durante il tardo periodo Kamakura, numerosi aristocratici e alcuni appartenenti ai clan samurai, nel diventare maggiorenni, usavano tingersi i denti. Nel caso particolare dei samurai e dei membri della nobiltà di questi periodi era consuetudine tingersi i denti per la prima volta dopo aver superato il genpuku o cerimonia di iniziazione, all’età di quindici o sedici anni. Così si faceva anche alla corte imperiale fino alla fine del periodo Edo. Tra i samurai l’ Ohaguro era associato anche al concetto di fedeltà e lealtà espressa dal colore nero. Quando un samurai si tingeva i denti di nero, esprimeva la sua decisione di non servire un altro signore per il resto della vita e, dai tempi degli shikken, o reggenti dello shōgun, i nobili lo applicavano con analogo senso di rispetto per la lealtà al proprio signore.
Poi, nel 1870, in pieno Periodo Meiji, il governo vietò la pratica dell’ohaguro sugli uomini, e la tradizione divenne gradualmente obsoleta, soprattutto a partire dal 1873 tra le donne sposate e nobildonne, quando l’Imperatrice Shōken decise di apparire in pubblico con i denti bianchi. Fino agli ultimi anni del periodo Meiji, l’ohaguro era ancora un’usanza popolare tra le classi medie e inferiori ma dal periodo Taishō in poi scomparve quasi del tutto tranne che tra le donne anziane nelle zone rurali e più disagiate.
SUPERSTIZIONI E LEGGENDE
Sulla scia della tradizione dell’ Ohaguro sono sorte varie leggende, e tra queste ricordiamo le seguenti.
Nel libro di Yamada Norio Tohoku Kaidan no Tabi, ‘Storie di fantasmi di Tohoku’, c’è una storia sulla prefettura di Fukushima chiamata ohaguro bettari (お歯黒べったり), letteralmente ‘denti anneriti’. Si parla di una yōkai, una noppera-bō (のっぺらぼう)o fantasma senza faccia, vestita come le antiche donne giapponesi con il viso truccato dove appare solo una grande bocca piena di denti neri.
Inoltre, una leggenda dell’isola di Himeshima racconta che, quando Himegami (姫神), la Divina Principessa fuggì dal principe Tsunuga Arashito, si fermò per un momento del suo viaggio per applicare l’ohaguro, nello sciacquarsi la bocca, non trovando acqua da nessuna parte nelle vicinanze, batté le mani e improvvisamente l’acqua cominciò a sgorgare dal terreno. Questo è il motivo per cui la sorgente Hyoshimizu al santuario di Himekoso è chiamata anche ohaguro mizu (“acqua di ohaguro”).
Ovviamente c’è molto altro da dire in relazione a questa antica usanza e, probabilmente, torneremo sull’argomento.
(Antonio Hisao Vaianella)