Introduzione
Sake (酒) bevanda alcolica,
utilizzata per indicare ogni bevanda alcolica sia giapponese che straniera.
In Giappone quello che all’estero viene chiamato sake è chiamato nihonshu che significa alcool giapponese.
Il sake non è né un liquore né un distillato ma è una bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso tramite l’aggiunta di acqua, un microorganismo e lieviti, quindi possiamo paragonarlo ai vini occidentali o alla birra, e come loro viene sorseggiato durante il pasto, e non come erroneamente pensato solo alla fine. La gradazione non è mai superiore ai 22% vol, e può essere degustato sia freddo che caldo, in base alla stagione, alla tipologia e alla pietanza abbinata.
Origini e storia del sake
La leggenda
La nascita del sake affonda le sue origini nella mitologia nipponica.
Si racconta che il dio del mare Susanoo no Mikoto utilizzò lo yashio-ori no sake per stordire e sconfiggere il drago ad otto teste e otto code Yamata no Orochi.
(Lo yashio-ori no sake letteralmente significa sake pressato per otto volte quindi c’è da supporre che il suo grado alcolico fosse molto alto.) Così quando il drago bevve gli otto barili di yashio-ori no sake si ubriacò, così il dio Susanoo no Mikoto potè tagliare tutte le teste e sconfiggere il drago.
Un’altra leggenda narra che il tempio di Ōmiwa a Nara ( Ōmiwa Jinja), dedicato al dio Ōmononushi, la più importante tra le divinità. Di questo complesso fa parte anche l’Ikuhi Jinja, tempio protettore degli antenati dei tōji, figure fondamentali delle sakagura, cioè le cantine di sake. La divinità Ikuhi no Mikoto è citata nell’episodio in cui si racconta che durante il regno dell’imperatore Sujin il paese fu sconvolto da una pestilenza. Il dio Ōmononushi apparve in sogno all’imperatore dicendo di fare un’offerta di sake al sacerdote Ōtataneko e di renderlo capo sacerdote. L’imperatore chiese a Takahashi no Ikuhi di produrre il sake per la divinità in una sola notte. Egli lo fece, e la pestilenza cessò. Il sake così aveva salvato il paese.
Alle spalle del tempio c’è Miwa, montagna sacra, dalla quale il tempio prende il nome e dalla quale sgorga una sorgente purissima, utilizzata ancora oggi per la produzione.Sul monte Miwa crescono gli alberi di cedro utilizzati per creare i cesti rotondi che vengono appesi davanti alle sakagura quando viene prodotto il primo sake dell’anno.
Durante il medioevo giapponese quando il sake era prodotto quasi principalmente nei templi, Nara ebbe un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle tecniche di produzione; infatti molti monaci giapponesi andarono in Cina a studiare, impararono tecniche come il morohaku o il danjikomi che nel tempo sono diventate fondamentali nella produzione.
Una storia di 2500 anni
Quella del sake in Giappone è una storia millenaria, inevitabilmente legata all’origine della coltivazione del riso. I più antichi scritti su questa bevanda si trovano in alcuni documenti cinesi del terzo secolo, che rivelano che “i giapponesi sono molto appassionati di sake” e “sono soliti berlo in compagnia nelle occasioni di lutto”.
Nella letteratura giapponese il primo riferimento al sake lo si trova circa nel 713 d.C. in un testo che descrive la pratica del kuchikami no sake, fosse nata tra le miko, sacerdotesse dei santuari shinto. Infatti è risaputo che le miko masticassero il riso per poi sputarlo in un vaso dove gli enzimi naturali contenuti nella saliva convertivano l’amido in glucosio fermentabile. Nel periodo Yamato il sake era la bevanda degli dei e degli imperatori. All’inizio del periodo Nara questa pratica venne sostituita grazie all’introduzione dei lieviti di riso, kōji, importati dalla Cina, ancora oggi utilizzati nella fermentazione. Secondo la narrazione nel Kojiiki a portarli in Giappone fu un coreano naturalizzato giapponese, che conosceva un metodo per produrre il sake utilizzando la muffa del riso, appunto il kōji. Così da allora per la produzione del sake si usa il kōji. Venne creato un ufficio pubblico chiamato Sake no Tsukasa (Ufficio Pubblico per la Produzione di Sake) e da quel momento fu prodotto solo dalla corte imperiale.
All’inizio del periodo Heian, nell’Engishiki, vengono illustrati i metodi di produzione del sake , e si discostano di poco da quelli attuali. Gli ingredienti erano, e sono, 3: riso, kōji e acqua. Viene menzionato il kan-zake ossia il sake caldo. Nel testo sono citati ben 14 tipi di liquori diversi, e si descrive il procedimento per ottenere il seishu, sake raffinato, cioè facendo filtrare il sake non raffinato con della seta. In questo periodo il sake era fondamentale nelle occasioni formali a carattere religioso o politico, non era consumato dalla gente comune, che solo alla fine di questo periodo, circa 1185, grazie allo sviluppo delle città e del commercio che resero il prezzo di mercato del sake pari a quello del riso.
Templi buddhisti e santuari shintoisti producevano il sake per ordine della corte imperiale e a Kyoto iniziarono a prosperare le cantine. In questo periodo si sviluppò la tecnica della fermentazione parallela, fondamentale nella produzione, ed è l’unico alcolico al mondo che utilizza questa tecnica. Consiste in un metodo che aumenta il grado alcolico fino al 20% tramite la saccarificazione e fermentazione. Inoltre sempre in questo periodo, circa 1333, ci sono testimonianze di un processo di pastorizzazione del sake, mettendolo sotto pressione e portandolo a 64°C prima di imbottigliarlo.
Grazie all’evoluzione dei vari processi il sake si diffuse tra le persone comuni.
Lo shōchū, invece, si deve ai missionari di Francesco Saverio, circa metà 1500, che introdussero le tecniche di distillazione.
Già nel 1600 la produzione del sake si era spostata dai santuari e templi per diventare settore di abili artigiani specializzati nella fermentazione.
Nel periodo Edo il sake era prodotto 5 volte l’anno:
Shiki jōzō produzione annuale delle 4 stagioni |
Shinshu sake prodotto nella settimana di equinozio autunnale |
Aishu prodotto dopo lo shinshu |
Kanmaezake prodotto prima dell’inverno |
Haruzake prodotto in primavera |
Il migliore in termini di qualità e gusto era il kanmaezake, perché ottenuto a basse temperature.
In questo periodo i produttori di sake utilizzavano tecniche all’avanguardia ancora sconosciute in occidente; alla fine del 1600 si contavano circa 27.000 cantine di sake.
Nel periodo Meiji,1869-1912, la produzione diventò industriale, venne istituita una tassa sull’alcool, e fu proibita la produzione privata. Fino a questo momento la distribuzione era fatta in botti o in vasi, adesso viene introdotta la tipica bottiglia da 1 shō, circa 1,8 litri.
Nel 1943 venne introdotta la classificazione dei sake, il kyūbethshu-seido, che creava tre categorie: eccellente, prima e seconda scelta, e fu tassato in base alla categoria. Questo sistema risultò fallace e venne sostituito nel 1992 con l’attuale classificazione del sake fatta in base al grado di raffinazione del riso e alla presenza o meno di alcool aggiunto.
Con l’arrivo di bevande dall’estero, come il vino, il numero di produttori è diminuito.
Il riso
Il riso giapponese si distingue in due tipi: quello da cucina e quello che viene utilizzato per la produzione del sake; infatti esistono varietà di riso utilizzate esclusivamente per la produzione di questa bevanda alcolica shūzō kōtekimai o sakamai; la caratteristica di questo riso dai chicchi leggeri e a basso contenuto proteico, un po’ più grandi rispetto a quelli da cucina.
Il riso è coltivato in prevalenza in Giappone: Indica, a grana lunga, e Japonica, a grana corta.
Il costo cambia in base al tipo di coltivazione e le specie più pregiate e rare possono essere anche molto costose.
Piantato in primavera, cresce in estate, e viene raccolto in autunno; stoccato per qualche mese fin quando non viene utilizzato per la produzione.
In casi eccezionali il sake può essere prodotto usando determinate varietà di riso da tavola.
Una delle differenze tra le due tipologia di riso è il peso. Il riso da tavola è piccolo e non assorbe molta acqua, quindi resta colloso, morbido e gommoso; il riso per la produzione del sake è più grande ma soprattutto assorbe molta più acqua, è resistente, fondamentale nel processo di levigatura, ha poche proteine e pochi grassi, ha molto amido fondamentale nella produzione del sake.
Il riso viene raffinato e levigato prima della produzione di sake.
La raffinazione è uno dei parametri per capire la tipologia del sake prodotto, infatti la levigatura serve a rimuovere la superficie esterna del riso, dove si trovano le proteine e i grassi, quindi più il riso è raffinato minore o quasi nullo sarà la loro presenza che causerebbero sapori indesiderati, e di conseguenza determina la categoria del sake che ne deriverà.
Il Riso per la Produzione di Sake
La produzione di sake inizia con la levigatura del riso, l’ingrediente principale.
Durante questo processo, la parte esterna del chicco di riso, ricca di proteine, grassi e minerali, viene rimossa per evitare la produzione di aromi indesiderati.
Il livello di levigatura, noto come seimai-buai, è un parametro chiave per la classificazione del sake e viene indicato sull’etichetta.
Questo valore rappresenta la percentuale di riso rimasta dopo la levigatura.
Il processo di levigatura viene eseguito con cura per evitare il surriscaldamento o la rottura dei chicchi di riso.
La levigatura può essere di due tipi: “piatta”, che rimuove una quantità uniforme di riso da tutto il chicco, o “tradizionale”, che rimuove più amido dalle estremità del chicco, conferendogli una forma arrotondata.
La levigatura del riso è un elemento chiave per determinare la tipologia di sake.
Un sake prodotto con riso altamente levigato tende ad avere aromi più puri e fruttati, un corpo più leggero e una minore acidità. Questo tipo di sake rientra nella categoria ginjo.
La Fermentazione del Sake
Dopo la lavorazione e la cottura a vapore, il riso viene diviso in due parti.
Una parte viene utilizzata per fare il kōji, noto come koji-mai. In una sala dedicata all’interno della sakagura (cantina di sake), il riso viene cosparso con le spore della muffa koji (aspergillus oryzae), che trasformano l’amido del riso in zucchero.
Il controllo dell’umidità e della temperatura della stanza permette di gestire la crescita delle muffe.
La quantità di koji influisce sul gusto del sake: una grande quantità permette una rapida conversione dell’amido e produce un sake corposo, mentre una minor quantità produce un sake più leggero.
Una volta che la muffa koji ha completato il suo lavoro, il riso appare lucido, di consistenza friabile e dal gusto dolce. Per arrestare la crescita delle muffe, il riso viene trasferito in un ambiente fresco.
Infine, il riso cotto al vapore, una parte del koji, il lievito e l’acqua vengono mescolati insieme per preparare lo shubo, il passo successivo nella produzione del sake.
L’acqua
Uno dei principali ingredienti nella produzione del sake è l’acqua.
Infatti Il sake è composto dall’80% di acqua e deve essere fresca e pulita, la sua purezza è fondamentale per la qualità.
L’acqua deve essere ricca di potassio, fosfato e magnesio, fondamentali per far crescere il lievito; da evitare quelle ricche di ferro, manganese e metalli pesanti, perché ne rovinerebbero il sapore.
I minerali contenuti nell’acqua influenzano la crescita della muffa e del lievito Kōji, infatti il sapore del sakè cambia in base all’acqua che si utilizza.
Più l’acqua sarà pura più il gusto del sake risulterà pulito e dolce, non è un caso che le sakagura più rinomate sono situate nei pressi di fonti d’acqua purissime, un esempio su tutte, quelle di Nara che sorgono nei pressi del Monte Miwa.
Kōji
Il cuore del chicco di riso che rimane dopo la levigatura è composto di amido.
L’amido è una grande molecola formata da piccole molecole di zucchero collegate tra loro come in una catena.
Per rompere la catena e liberare gli zuccheri viene utilizzato un enzima naturale chiamato koji.
Il kōji è di fatto una muffa che viene fatta crescere sul chicco affinché liberi gli zuccheri contenuti nell’amido, ovvero il glucosio.
Esistono vari tipi di kōji: il kōji giallo viene utilizzato per la fermentazione del sake, mentre quello bianco per la produzione dello shochu e il nero per l’awamori.
Affinché la muffa kōji possa svilupparsi, serve che il riso riposi in un ambiente molto caldo.
I produttori di sake dedicano una parte della cantina alla produzione del koji e aggiustano sia la temperatura che l’umidità interne per accelerarne o rallentarne la crescita affinché la muffa sia la più adatta al sake che desiderano produrre.