Riprendiamo da dove abbiamo interrotto, bruscamente, la volta precedente, approfondendo ora l’Abbigliamento.
Abbigliamento
E con questo (ovvero il muneate) introduciamo l’abbigliamento, non prima di aver scoperto che ci sono anche un’altra infinità di accessori ritrovabili a questo link https://uppsalakyudo.se/english/information/glossary.html e che pian piano approfondirò.
Tutti coloro che iniziano a praticare questa disciplina vestono l’abito per i principianti, il kyudoji, composto da una parte superiore bianca chiamata keikogi (稽古着) tenuta chiusa da una fascia-cintura, l’obi (帯), sulla quale si allaccia l’hakama (袴) nera, la tipica gonna-pantalone.
Ai piedi si indossa la tipica calzatura da kyūdō, i tabi (足袋).
I praticanti di livello superiore invece indossano il wafuku (和服), una veste molto simile al kimono, ha le maniche ampie e proprio per questo motivo le donne usano una fettuccia chiamata tasuki (襷) per legarle, mentre gli uomini sfilano la spalla sinistra per impugnare meglio l’arco e scoccare la freccia senza difficoltà.
Pratica e tecnica
Come già intuibile sopra, il kyūdō è considerato una delle discipline più antiche e pure tra le arti zen; in base a questa considerazione, di conseguenza per impararne la tecnica è richiesta una dedizione di anni e anni di perfezionamento continuo e costante.
A differenza del tiro con l’arco occidentale, questa disciplina richiede molto spirito e tecnica, in quanto è in realtà una continua applicazione degli insegnamenti zen che permette di analizzare ogni particolare partendo dall’esteriorità, dalla forma e dall’apparenza fino alla totale comprensione della propria interiorità.
Si inizia dai fattori esterni come la cura dell’abbigliamento, alle formalità della pratica fino al punto in cui ogni tiro diventa una sensazione, ogni sensazione un significato; si familiarizza con queste sensazioni al punto che si giunge a comprendere quanto non sia necessario solo lo spirito e la tecnica, ma diviene indispensabile che i due aspetti siano in realtà uno soltanto.
La pratica, in sé per sé, è considerata una forma di meditazione in movimento ed è stata sviluppata come un mezzo per raggiungere una maggiore comprensione di sé e dell’universo.
Svincolata dal fine della caccia e della guerra, la disciplina è divenuta un’arte marziale a carattere spirituale che mira a raggiungere l’equilibrio mentale e fisico attraverso la combinazione di tecnica e meditazione.
Essa richiede che i praticanti si sottopongano ad un rigoroso allenamento fisico e mentale per migliorare le loro abilità; devono seguire, inoltre, un codice di condotta che include il rispetto per gli insegnanti, gli altri studenti e loro stessi.
I benefici che ne si possono trarre riguardano non solo il miglioramento nell’abilità di tiro con l’arco, ma ne guadagna anche la concentrazione e la capacità di gestione dello stress; molti praticanti lo descrivono, infatti, come un’esperienza trasformazionale che li aiuta a divenire più equilibrati e consapevoli di sé.
Questo per quanto riguarda la filosofia della disciplina, che continueremo ad approfondire nei paragrafi successivi (Insegnamenti spirituali); ora vediamo nel dettaglio la pratica.
Le modalità di tiro possono essere di diverso tipo a seconda del modo in cui questi vengono effettuati:
- Dosha – è chiamato anche tiro al tempio ed è privo di bersaglio, per un lancio da una distanza di almeno 120 m;
- Kuriyamae – è il tiro a lunga distanza e consiste nel lanciare la freccia il più lontano possibile;
- Kisha – è il tiro fatto da cavallo, tipico dei samurai; l’arco utilizzato non è molto potente e il guanto non ha il pollice rigido perché con le stesse mani si devono tenere le redini e, anticamente e all’occorrenza, bisognava anche impugnare la spada; a questo tipo di tiro appartengono tre specialità:
- Yabusame (流鏑馬) eseguito con frecce che non hanno punta ma sono rigonfiate per evitare danni in caso di tiro errato; in questa specialità il cavaliere deve dimostrare grande abilità in quanto entrambe le mani sono occupate da arco e frecce e non tenendo le briglia deve reggersi a cavallo con la sola forza delle gambe; i bersagli da colpire sono due posti a 50 m l’uno dall’altro; eseguito il primo tiro, si deve incoccare in pochi secondi la seconda freccia e colpire il secondo bersaglio;
- Inu oi mono anche chiamata caccia al cane, consiste nel liberare un certo num. di cani in un recinto e il cavaliere diretto con il cavallo all’interno del recinto con le sole ginocchia e delle frecce imbottite (hikime) deve far cadere i cani, a loro volta imbottiti appositamente in modo che non si feriscano;
- Kasagane più o meno uguale allo yabusame solo che al posto dei bersagli ci sono dei cappelli (jingasa) laccati che risuonano quando vengono colpiti.
- Busha (bushakei 武射系) – l’antico tiro da guerra a piedi con indosso l’armatura;
- Kazuyamae – tiro rapido di tantissime frecce;
- Tekimae – chiamato anche tiro al nemico.
Questi ultimi tre oggigiorno non hanno senso e non vengono più praticati se non solo nelle scuole dove ancora lo insegnano, ma espressamente su richiesta, per il gusto di impararlo.
Esistono infine altri due tipi:
- Toyamae – il tiro al bersaglio lontano posto a diversi metri di distanza;
- Komatomae – il tiro al bersaglio piccolo, oggi diventato lo standard.
Nella prossima puntata continueremo ad approfondire aspetti ulteriori della pratica.
Samantha Sisto
Info credits:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ky%C5%ABd%C5%8D;
https://www.giappominkia.com/kyudo-tiro-arco-giappone/;
https://www.autodesk.com/it/design-make/articles/arco-giapponese;
https://www.accademiaromanakyudo.it/;
https://www.associazioneitalianakyudo.it/;
http://www.velieronirico.it/kyudo-tiro-con-larco-giapponese/;
https://sakuramagazine.com/arti-marziali-kyudo (tutti i link);
https://uppsalakyudo.se/english/information/glossary.html
Photo credits:
https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.scuola-e-cultura.it%2Fsport%2Fkyudo.htm&psig=AOvVaw0LiYfY4_2jS0J1YlteXMQG&ust=1716128853923000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBIQjRxqFwoTCICw6fW_l4YDFQAAAAAdAAAAABAE;
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