Le strade di Kyoto erano immerse nel respiro della notte, illuminate solo dal flebile chiarore delle lanterne. Aya passeggiava lentamente, il suono lieve dei suoi passi si confondeva con la brezza primaverile. Yoru camminava accanto a lei con la coda alta e guardandosi intorno con fare circospetto.
Era una notte come tante, eppure, qualcosa era diverso. L’aria vibrava di un’energia strana, come se la città trattenesse un segreto sospeso tra le sue antiche mura.
Aya lo sentì prima di vederlo: il freddo sottile che percorse la sua pelle, un brivido che non era dovuto al vento. Fu allora che la vide.
Sotto il grande albero di ciliegio che si ergeva vicino al santuario, una figura pallida si stagliava nella notte. Una donna dai lunghi capelli corvini, lisci e immobili, scendevano come un velo intorno al suo viso. Il suo kimono bianco fluttuava appena, e le mani sottili pendevano ai lati del corpo, immobili, prive di forza. Eppure Aya percepì il dolore che le gravitava attorno, denso come nebbia.
Yoru si fermò, il pelo irto, ma Aya non arretrò; era ormai abituata a certi incontri notturni.
«Sei uno spirito?» chiese alla triste figura con la voce che era un sussurro nella notte.
Gli occhi della donna si aprirono, profondi e colmi di un tormento antico.
«Il mio nome è Sayomi.» disse la yūrei con voce bassa, come se pronunciarlo rappresentasse una fatica immane. «Mille anni fa, dopo la mia morte, attendevo di ricongiungermi ai miei avi nel mondo degli spiriti. Ma una maledizione mi ha legata a questa terra.»
Aya sentì una fitta al petto.
«Mille anni…?»
La yūrei annuì lentamente.
«La mia anima non può oltrepassare il confine. Vago nella notte, cercando la via, ma l’ombra della mia colpa mi trattiene.»
Aya la osservò con attenzione.
«Quale colpa?»
Sayomi abbassò lo sguardo.
«Il mio cuore fu contaminato dalla vendetta. Quando fui tradita e uccisa, a causa del mio gesto crudele, il mio spirito si riempì d’odio. Avrei dovuto lasciar andare la rabbia, ma non l’ho fatto. Ora, per l’eternità, sono condannata a rimanere qui, sospesa tra vita e morte.»
Il vento sospirò tra le strade. Aya sentì il peso di quelle parole, il dolore senza fine di un’anima perduta.
«Quale fu la tua colpa; deve esserci un modo per spezzare questa maledizione.» disse, incuriosita ma sinceramente rattristata per la donna davanti a lei.
Sayomi le sorrise malinconica.
«Non riesco a ricordare quale azione terribile commisi in vita, per quanto mi sforzi, e forse, a causa di questo, non so se vi sia la possibilità di liberarmi da questa condanna senza fine.»
Aya si avvicinò appena.
«Se posso, ti aiuterò.» Disse con coraggio davanti agli occhi sbarrati di Yoru che avrebbe voluto fare diètro frónt di fronte alle affermazioni della sua padrona che, in quel frangente, considerava insensate e poco salutari.
«Umani! Valli a capire!» pensò il gatto sospirando.
Sayomi osservò Aya a lungo, prima di abbassare le palpebre, come un cenno di gratitudine.
«Grazie.»
Aya annuì.
Yoru miagolò piano, come per spezzare il silenzio e ricordare alla sua padrona che era quasi l’alba. Aya inspirò profondamente e fece un passo indietro.
«Ora devo andare, domani mi aspetta una giornata impegnativa ma tornerò.»
Sayomi non rispose. Ma il suo sguardo la seguì e, mentre la fanciulla e il gatto si allontanavano, il suo kimono bianco si dissolse lentamente nell’ombra dei ciliegi.
Aya non sapeva come, né quando, ma sapeva che quella storia non era finita; avrebbe scoperto un giorno il segreto di Sayomi e l’avrebbe aiutata, o almeno ci avrebbe provato.
Prima di addormentarsi sul suo comodo futon, con Yoru accoccolato ai suoi piedi, Aya ebbe un ultimo pensiero prima dell’oblio; Kyoto, nelle notti silenziose, avrebbe continuato a sussurrare il nome di Sayomi e lei avrebbe scoperto il suo terribile segreto.
