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Quella sera Aya aprì la taverna con un po’ di ritardo, cosa che fece sbuffare quella brontolona della signora Fumiko che la rimproverò dicendole che lei aveva il suoi orari per il tè. Comunque, una volta aperto il locale, piano piano andò a riempirsi dei soliti habitué che entrando non trascuravano di salutare il buon Yoru, appollaiato su di un mobiletto posto all’ingresso. La serata trascorse tranquilla, la gente parlava del più e del meno e ci furono anche un paio di turisti di passaggio che si fermarono a mangiare un boccone prima di andare a riposare alla locanda. Quella sera Nao, la sua migliore amica, le mandò un messaggio in cui le diceva che non sarebbe riuscita a passare perché, a quanto sembrava, aveva trovato un soggetto ‘strano’ per le sue fotografie, ma l’avrebbe ragguagliata il giorno dopo. Venne invece Haruki, il suo amico da una vita che prese un tè ma, alla fine, ne lasciò quasi metà nella tazza. Che strano comportamento aveva Haru, così lei lo chiamava, che aveva passato la sera a guardarla e a sospirare. Forse non stava bene, pensò. Osservandolo le venne in mente l’incontro con Emi, lo spiritello della primavera, che le aveva raccontato del grande ciliegio davanti alla taverna: “Che strano, si chiama Haruki anche il ciliegio… coincidenze?”. Insomma una serata tranquilla come tante altre. Il signor Okabe, che lavorava alla Tetsuro Company, fu l’ultimo a uscire.
«Buonanotte Aya, vado a lavorare, ho il turno di notte e già sono stanco, non sono riuscito a riposare questo pomeriggio!»
«Ce la farà come sempre signor Okabe, lei è una roccia. Ma tenga questo, è per lei.», disse Aya porgendogli un sacchettino.
«Che cos’è?»
«Niente di che, uno spuntino casomai le venisse fame questa notte.» rispose gentile dicendogli che offriva la casa.
«Grazie, sei sempre premurosa, allora buonanotte. Un saluto anche a te, onorevole Yoru.» disse con un leggero inchino cui il gatto rispose stiracchiandosi facendo un ‘miao miao’ un po’ assonnato. Era quasi mezzanotte e, prima di lasciare la taverna, Aya iniziò a sistemare il locale come sempre quando accadde qualcosa di strano. La notte stava avanzando e lei stava pulendo con gesti abitudinari gli ultimi tavoli, mentre Yoru, accovacciato vicino al bancone, osservava la porta con occhi vigili.
Era giunta l’ora in cui il confine tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti si assottigliava sempre più.
Un vento improvviso entrò nella taverna e un’ombra massiccia si stagliò sulla soglia. Il suono dei suoi geta pesanti rimbombò sulla pavimentazione in legno e lui apparve. Davanti ad Aya e Yoru, magicamente, era comparso un oni dalla pelle rossastra, enorme e spaventoso, che la fissava con occhi scintillanti.
Lei rimase immobile, mantenendo la calma, in attesa di capire il perché di quella visita inaspettata e certo non rassicurante.
«Una tazza di tè!» disse il demone in tono perentorio con voce roca simile a un ruggito.
La ragazza non si scompose, sapeva che con gli oni doveva mantenere la calma; glielo aveva spiegato tempo prima lo spirito irrequieto di una vecchia maga incontrata per caso durante una passeggiata notturna. In fondo un demone che chiedeva del tè non era poi il peggiore degli incontri notturni. Con gesti misurati, iniziò a preparare il tè mentre il gatto, preoccupato, si era nascosto sotto il bancone. Una volta pronta versò la bevanda in una tazza elegantemente decorata con motivi floreali e la porse con gentilezza alla creatura. Il demone prese la tazza con una delicatezza che stonava con il suo aspetto. Sorseggiò il tè, assaporandolo con evidente soddisfazione e ripose la tazza sul bancone.
«Questo è il miglior tè che abbia mai assaggiato.» disse abbozzando un sorriso che metteva in evidenza le sue zanne.
Aya sorrise: «Eppure dovresti saperlo, oni-san. Il miglior tè è quello offerto senza paura. Però ero convinta che voi beveste solo bevande forti, come il sakè!»
Il demone la fissò divertito, scoppiando in una fragorosa risata che fece tremare i mobili della taverna. «Questa è bella, se ne dicono tante su di noi, certo abbiamo un aspetto inquietante e ce ne rendiamo conto, ma in fondo anche noi abbiamo un che di gentile nell’animo.» disse con fare pensieroso l’oni. «Certo non bisogna farci arrabbiare, perché in quel caso diventiamo antipatici, come quella volta che venne, non invitato, nell’isola di Onigashima quel monello di Momotarō; mio zio mi raccontò che era in compagnia di un cane, una scimmia e un fagiano. Pensa che volevano portare via tutto il tesoro degli oni. Strana compagnia di avventurieri. Le leggende che sono giunte a voi raccontano che Momotarō sconfisse il nostro re e portò via un ricco bottino ma, in realtà, le cose andarono diversamente!»
«Cioè, cosa successe? Se posso chiedertelo.»
«Niente di così cruento, dopo una lunga discussione il nostro capo decise di dare dell’oro al ragazzo, cosicché lui e la sua famiglia potessero trascorrere la vita serenamente. Si concluse tutto davanti a un buon tè, con l’accordo che la storia sarebbe stata tramandata come la conoscete oggi. Sai, giusto per evitare che altri scocciatori venissero a cercare la lite.»
«Comunque sei simpatica Aya-chan; è questo il tuo nome vero?» chiese il demone con gentilezza.
«Si oni-san, questo è il mio nome mentre il mio gatto, che si nasconde qui sotto, si chiama Yoru.»
«Ah ah ah, piccolo coraggioso Yoru, non avere paura, la prossima volta mi concederai anche di farti una carezza? Ma dimmi ragazza, quanto ti devo per il disturbo fuori orario?»
«Nulla, le offro io il tè questa notte, oni-san.»
«Questo mai, quel che è giusto è giusto, e poi sei stata davvero gentile, e non è sempre scontato nei nostri confronti.» disse il demone sorridendo e porgendole un pezzo di metallo rettangolare, con gli angoli smussati che sembrava d’oro.
«Ho solo questo con me, sai non usiamo moneta corrente.»
«Che cos’è?» chiese stupita Aya.
«Oh, è solo un ryō 両 d’oro, lo usavano come moneta in Giappone in un’epoca lontana, credo che voi la chiamiate oggi Periodo Kamakura!»
«Non so cosa dire.» replicò lei sbigottita.
«Non c’è bisogno di dire nulla, il tuo tè vale sicuramente molto di più di un pezzo di metallo. Ora ti saluto, questa notte mi divertirò a spaventare una guardia notturna che lavora in un grattacielo della Tetsuro Company!» disse sogghignando il demone, e così facendo, con un cenno di saluto e un fruscio improvviso, svanì nel vento notturno.
«Passerò ancora per dell’altro tè!» si udì nell’aria, come un debole sussurro.
“Povero signor Okabe”, pensò Aya sospirando mentre Yoru, uscito dal suo rifugio si leccò una zampa miagolando e guardando la sua padrona che teneva in mano quel pezzo d’oro proveniente da epoche passate.
«È ora di andare a nanna.» disse accarezzando il gatto con una strana sensazione dentro di lei.
La magica Kyoto non dormiva mai e la notte aveva sempre nuove storie da raccontare…

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