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La Tsukimi no Yado era ormai immersa nel silenzio. I pochi turisti, ospiti della locanda, erano già nelle stanze a dormire e gli ultimi avventori della piccola taverna gestita da Aya se ne erano andati già da un po’. L’ultima lanterna tremolava debolmente mentre la ragazza puliva gli ultimi tavoli, lasciando che il mantello della notte avvolgesse il piccolo mondo che custodiva ogni sera.
Fu allora che un soffio di vento gelido attraversò la stanza, insinuandosi tra le ombre e facendo fremere le tende. D’un tratto, una figura eterea prese forma: sfumature di viola e glicine si intrecciavano nei veli evanescenti che la avvolgevano, e il tenue bagliore della lanterna sembrava renderla ancora più surreale.
Aya sollevò lo sguardo, il battito del cuore appena accelerato, ma senza paura. Davanti a lei, con la grazia di un antico ricordo, stava Murasaki Shikibu, la leggendaria scrittrice del Genji Monogatari. Non era la prima volta che quella gentile dama dell’epoca Heian le veniva a far visita.
«Ti disturbo, giovane locandiera?»
La sua voce era lieve e malinconica, simile al fruscio delicato di una pergamena sfogliata. Aya, sorpresa e affascinata, fece un cenno e versò il tè in due tazze, spingendone una verso l’ospite inattesa.
«Il tè caldo non conosce confini, Murasaki-sama.»
L’antica poetessa sorrise e si sedette su uno sgabello con un gesto aggraziato, avvolgendo la ceramica della tazza offertale con mani traslucide, come se volesse assaporare un frammento di quella realtà che non le apparteneva più.
Parlarono a lungo, di storie mai scritte e di personaggi ancora sospesi nel limbo delle idee. Aya ascoltava rapita dall’intelletto e dalla visione di quella donna che aveva dipinto l’epoca Heian con le sue parole immortali.
«Raccontare le vite degli uomini è una forma di magia, non trovi?»
Aya annuì, poi osò chiedere, incuriosita:
«Murasaki-sama, quando vivevi, com’era il tuo tempo? So che l’epoca Heian era raffinata, ma una donna come te era davvero libera di creare?»
L’ombra della poetessa si inclinò appena, il suo sguardo era lontano.
«Libera… non completamente. Ma le parole offrivano un rifugio, una via per esprimere ciò che il mondo spesso non permetteva. Poi, se ci pensi, chi è davvero libero in questa vita?»
Aya rifletté in silenzio, poi sussurrò:
«E il tuo Genji Monogatari, lo hai scritto pensando che sarebbe sopravvissuto fino a noi?»
Un lieve sorriso curvò le labbra dell’eterea dama.
«Nessuno sa quando le parole smettono di essere sussurri e diventano eterno respiro. Scrivevo per il mio tempo, eppure eccomi qui, a parlarne con te.»
Quando il tè si raffreddò, dama Murasaki si alzò con un’aria distante e si avvicinò a Yoru, che aveva osservato tutta la scena con curiosità.
Accarezzò il gatto con dita impalpabili, mentre il piccolo animale inclinava la testolina.
«Hai occhi che vedono oltre il tempo, amico mio. Custodisci bene i sogni di chi ti sta accanto.»
Yoru socchiuse gli occhi, accettando quel saggio consiglio con fare sornione.
Poi, Murasaki Shikibu si dissolse nel vento, lasciando dietro di sé solo un lieve profumo di fiori di glicine.
«Ci rivedremo ancora, mi piace la tua compagnia. Grazie per il tè…» disse prima di scomparire completamente.
Aya guardò la tazza rimasta, ancora piena, davanti a sé e sorrise mentre Yoru si strusciava dolcemente contro le sue gambe.

“Passiamo ora alla calligrafia: colui che, privo di una solida base, lascia correre qua e là il pennello con una certa ostentazione può in un primo momento dare l’impressione di possedere talento e originalità, mentre viceversa la sapiente scrittura di chi padroneggia l’arte del pennello può non rivelare a prima vista alcun pregio particolare, ma basta metterla a confronto con l’altra e subito se ne potrà riconoscere il valore autentico. Se ciò che ho detto vale per argomenti così leggeri, a maggior ragione, quando si tratti del cuore umano, penso che non ci si debba fidare di sentimenti superficiali e ostentati sul momento.”

Murasaki Shikibu

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