Aya spense l’ultima lanterna sopra il bancone e diede un’occhiata alla sala vuota della taverna. Aveva appena finito di sistemare i tavoli togliendo ogni traccia della serata, bicchieri lasciati al bordo e tovaglioli piegati con gesti frettolosi. Con un sospiro soddisfatto, chiuse la porta della taverna della “Locanda della Luna”, sigillando il silenzio all’interno. La notte, fuori, era limpida e profumava di mistero.
Yoru, il suo gatto, la attendeva paziente sullo scalino. Non appena Aya varcò la soglia, lui saltò giù con eleganza e si mise a zampettare al suo fianco, scivolando tra le ombre della città.
Il vento tiepido della notte accarezzava i vicoli silenziosi di Kyoto, o almeno quelli del quartiere dove viveva, mentre si incamminava verso casa. Quella notte aveva deciso di saltare la sua consueta passeggiata notturna. Era particolarmente stanca. L’orologio del tempio Chion-in aveva da poco battuto l’una, e la città, avvolta in un manto di quiete, sembrava sussurrare antiche storie.
Quella notte, l’aria aveva una fragranza particolare, un misto di incenso proveniente da qualche tempio lontano e del dolce profumo dei glicini che si arrampicavano sui muri delle case. La luce fioca dei lampioni di carta creava giochi d’ombra danzanti, trasformando gli angoli familiari in scenari strani e suggestivi.
Mentre svoltavano l’angolo di una strada poco illuminata, un’ombra insolita catturò l’attenzione di Aya. Accovacciato sotto un albero di ciliegio in fiore, c’era un ometto minuscolo, vestito con un kimono di un rosso acceso, stranamente macchiato di grandi pois bianchi. Sembrava smarrito e un po’ spaventato.
«Oh, buonasera!» disse Aya con un tono gentile, avvicinandosi con cautela. Yoru, con un sussulto, si drizzò con gli occhi verdi fissi sull’insolito individuo.
L’ometto alzò un viso piccolo e rugoso, incorniciato da pochi capelli bianchi. «Signorina, mi scusi se la disturbo a quest’ora tarda, ma ho bisogno d’aiuto.» disse con una voce sorprendentemente profonda per la sua statura. «Mi sono perso. Stavo cercando il lago della luna (月の湖 tsuki no mizūmi). Saprebbe indicarmi la strada?»
Il lago di cui parlava lo strano individuo si trovava a meno di dieci minuti a piedi.
Aya, generosamente, non esitò. «Certo, conosco quel laghetto non molto lontano da qui. Se vuole, posso accompagnarla.»
L’ometto parve sollevato. «Oh, le sarei immensamente grato!» Si alzò con un piccolo inchino, e insieme si incamminarono per le vie silenziose.
Durante il breve tragitto, l’ometto raccontò di essere uscito di casa quella mattina presto, desideroso di godersi la bellezza di Kyoto in primavera e che da lungo tempo che non si concedeva una breve vacanza. Ma, preso dalla contemplazione dei giardini e dei templi, aveva perso l’orientamento. La sua parlantina era vivace e un po’ sognante e parlava di come la sua casa fosse particolarmente umida, ma lui ci stava bene. Aya ascoltava sorridendo, divertita dalla sua innocua eccentricità.
Finalmente giunsero al piccolo specchio d’acqua nascosto tra la vegetazione, illuminato debolmente dalla luna. Le ninfee galleggiavano immobili sulla superficie scura, e il frinire dei grilli era l’unico suono a rompere il silenzio.
L’ometto si fermò sull’argine, i suoi occhi brillavano alla vista del laghetto. «Oh, che bellezza!» sussurrò sospirando e chiaramente rincuorato.
Senza alcun preavviso, con un movimento fulmineo, si lanciò in acqua. Aya, sorpresa, spalancò gli occhi e si paralizzò, mentre Yoru, con un miagolio interrogativo, si sporgeva incuriosito sul bordo del laghetto.
Sotto gli occhi increduli di Aya, l’ometto, una volta toccata la superficie dell’acqua, iniziò a trasformarsi. La sua piccola figura si allungò, il kimono rosso si fuse in squame lucide, e in pochi istanti, al suo posto guizzava una maestosa carpa Koi, dalle pinne ampie e sinuose, con le stesse inconfondibili macchie bianche sul dorso scarlatto.
Prima di immergersi completamente, la carpa girò il capo verso Aya e Yoru. «Grazie, gentili amici, per la vostra cortesia !» disse con una voce ora profonda e gorgogliante immergendosi nelle acque profondo ma riemergendo quasi subito.
«Quasi dimenticavo Aya-chan…» disse rivolgendosi alla fanciulla che non ricordava affatto di avergli detto come si chiamasse «…questo è per te.» e avvicinatosi al bordo del laghetto diede alla ragazza una piccola perla dagli strani riflessi argentei che aveva nella bocca. «Un piccolo dono per ringraziarti della tua gentilezza; ha dei poteri magici, ma non ti dirò quali perché sono certo che li scoprirai al momento opportuno.»
Aya prese la perla e lo ringraziò chiedendogli quale fosse il suo nome.
«Ah, vero, che sbadato, il mio nome è Ren e sono lo Shugo Koi (守護鯉), la carpa guardiana di questo luogo!»
Detto questo, con un colpo di coda, scomparve nelle profondità oscure del laghetto.
Aya per un po’ rimase immobile a fissare la superficie ondeggiante. Si voltò verso Yoru, che la fissava con i suoi occhi di giada socchiusi. Il gatto emise un piccolo verso pensieroso, sbuffò e si passò una zampa dietro l’orecchio.
«Se avessi saputo che era un pesce, ci avrei fatto un pensierino…» pensò il gatto divertito.
«È ora di andare a casa.» disse Aya pensierosa, osservando la perla che teneva delicatamente in una mano.
Kyoto non smetteva mai di sorprenderla…
Le notti di Kyoto: uno strano incontro

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